Ripercorriamo tutte le fasi del caso di Serena Mollicone, la 18enne trovata morta il 3 giugno del 2001 vicino Arce.
Era il 3 giugno del 2001 quando l’allora 18enne Serena Mollicone venne trovata morta in un boschetto in provincia di Frosinone. Dopo due giorni di ricerche, la tragica scoperta a soli otto chilometri dal paesino di Arce, nella Valle del Liri. Da quel giorno la zona che all’epoca era conosciuta come Fontecupa, adesso è stata denominata “Fonte Serena”.
Serena era una dolce ragazza di un metro e cinquanta, cresciuta insieme a suo padre Guglielmo e sua sorella, dopo che una grave malattia le portò via la madre. Una vita tranquilla, la tipica di un’adolescente che vive i suoi primi amori, ma anche i suoi primi dolori: nella città di Arce infatti molti ragazzi avevano perso la vita a causa della droga, una dipendenza da cui Serena cerca di allontanare i suoi coetanei. “Mia figlia è morta per questo”, dichiarava Guglielmo Mollicone.
La scomparsa di Serena Mollicone
La mattina del 1° giugno 2001 Serena si alza presto per recarsi in ospedale per una radiografia, poi si sarebbe dovuta vedere col ragazzo che frequentava. Ma quel giorno, della 18enne si perdono le tracce. Preoccupato di non riuscirla a rintracciare, alla sera il padre Guglielmo lancia l’allarme.
I carabinieri partono alla ricerca della ragazza, che si scopre essere passata in mattinata in un bar, da cui parte poco dopo a bordo di un’auto bianca, insieme ad altri ragazzi. Un carrozziere, Carmine Belli, conferma: “L’ho vista davanti a quel bar, litigava con un ragazzo biondo”.
Guglielmo consegna il diario della figlia al comandante della stazione dei carabinieri, Franco Mottola, anche se questo non viene mai registrato in nessun verbale. Poi, due giorni dopo, la terribile scoperta.
Il ritrovamento del cadavere
Solo due giorni dopo la sua scomparsa, il corpo di Serena viene ritrovato privo di vita: era stato abbandonato in un boschetto, con le mani e i piedi legati da fil di ferro, e la testa chiusa in un sacchetto. Attorno a lei, libri e quaderni di scuola, ma del suo cellulare nessuna traccia.
E’ ufficiale: Serena Mollicone è stata uccisa. I carabinieri vanno a casa della ragazza per cercare il suo telefono, ma non lo trovano. Dall’autopsia emerge che che non c’è stata nessuna violenza sessuale, tuttavia la 18enne ha ricevuto una botta in testa.
Le prime indagini
Papà Guglielmo, il 9 giugno, torna a casa e riapre uno dei cassetti controllati già dai carabinieri. Sorprendentemente, il cellulare si trova proprio lì. Com’è potuto succedere? All’interno della rubrica i carabinieri trovano registrato il numero “666”. È il numero di Satana, questo potrebbe indicare che Serena sia stata vittima di una setta satanica.
L’ipotesi viene accantonata in poco tempo, infatti. Durante il funerale di Serena, i carabinieri arrivano in chiesa e portano via Guglielmo, facendo albergare i sospetti su di lui per l’omicidio di sua figlia.
Un innocente in carcere
Nel settembre del 2002 poi, viene arrestato un uomo: si tratta di Carmine Belli, il carrozziere che aveva visto Serena litigare con un ragazzo biondo.
L’uomo sostiene di essere stato solo un capro espiatorio per chiudere la vicenda: infatti il ragazzo biondo con cui aveva visto Serena Mollicone quel giorno, era proprio Marco Mottola, il figlio del maresciallo Mottola. Dopo il processo, Belli viene assolto.
Il falso suicidio del carabiniere
L’11 aprile del 2008, quando un carabiniere della stazione di Arce, Santino Tuzi viene trovato morto nella sua auto. Secondo i carabinieri, il collega si è ucciso per amore: si sarebbe sparato nella sua auto con la pistola d’ordinanza. Ma, qualche tempo prima di morire, Santino Tuzi aveva raccontato in Procura di aver visto Serena Mollicone entrare nella caserma dei carabinieri, per poi non uscirne, proprio il giorno della sua sparizione.
“Mia figlia era andata a denunciare il figlio del maresciallo“, sostiene papà Guglielmo. “Per me l’hanno uccisa loro. E hanno indotto al suicidio Santino Tuzi, che finalmente si era deciso a parlare”.
Serena Mollicone, uccisa in caserma
Le successive indagini rivelano effettivamente che Serena sarebbe stata uccisa davvero nella caserma, in seguito a un litigio. Ma sarebbero stati messi in atto una serie di depistaggi per impedire che il fatto venisse scoperto.
L’ex maresciallo Franco Mottola, sua moglie e suo figlio Marco finiscono sotto processo, accusati di omicidio volontario e occultamento di cadavere. Due carabinieri invece sono stati accusati rispettivamente di favoreggiamento e di induzione al suicidio di Tuzi.
Secondo l’accusa, dopo aver litigato per strada con Marco Mottola, Serena avrebbe dimenticato i suoi libri nell’auto del ragazzo. Quindi, si sarebbe recata in caserma, nell’appartamento dei Mottola, per recuperarli. Qui, durante un litigio, sarebbe stata spinta dal giovane e avrebbe battuto la testa contro una porta. Un colpo così forte da lasciare segni sulla porta, poi sequestrata.
Serena però, non sarebbe morta subito: sarebbe stata lasciata morire dopo cinque ore di agonia. Il tutto mentre Marco Mottola andava in giro per il paese in modo da crearsi un alibi, e suo padre procurava il nastro e i materiali con cui la ragazza sarebbe stata legata e abbandonata nel bosco. In seguito, il maresciallo avrebbe messo in piedi, con l’aiuto di due colleghi, una serie di depistaggi per sviare le indagini e salvare suo figlio.
Al processo senza papà Guglielmo
“Siamo innocenti”, urlano i Mottola al processo che li vede imputati dell’omicidio di Serena Mollicone. “Sul luogo del delitto è stato trovato del dna che non appartiene agli imputati, e il loro non c’è”, dice il criminologo Carmelo Lavorino, in difesa degli imputati.
“La porta contro la quale, per l’accusa, Serena sarebbe stata sbattuta non può essere l’arma del delitto, in quanto l’urto non è compatibile né con l’altezza della ragazza e né con la ferita”, continua. Tuttavia, al processo non c’era papà Guglielmo: è morto nel maggio del 2020, dopo aver dedicato vent’anni della sua vita a tentare di far avere giustizia a sua figlia.